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Minimarket e Macroeconomia
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Minimarket e Macroeconomia
Negli ultimi anni e in controtendenza rispetto alle caratteristiche del commercio nostrano, grazie soprattutto all’orientamento espresso dai commercianti immigrati, si è andata sempre più affermando l’idea di punti vendita che commercializzano un po’ di tutto, senza una specializzazione vera e propria. I fondi, rimasti sfitti a causa delle ripetute chiusure delle attività commerciali tradizionali, trovano richieste solo da persone in arrivo da altri Paesi, che portano con sé un tipo di commercio diverso.
Si vende poco di tutto, con un effetto di omologazione del tessuto commerciale dei centro storici. Sta avvenendo ormai ovunque quello che già è successo nelle grandi città: una sostituzione del tipo di commercio, che non è più quello di una volta. Le attività tradizionali non ce la fanno a sostenere il peso degli affitti, delle utenze, delle tasse. «Si dice che la crisi è passata, ma non è vero – confermano i commercianti “superstiti” – la verità è che la gente non ha soldi, e continua a spendere il minimo indispensabile. E, soprattutto, si rivolge ai grandi centri commerciali». C’è molta curiosità, da parte dei commercianti, su come questi piccoli market riescano a permettersi il costo della vita, e ricavare comunque un utile.
Probabilmente una spiegazione sta nel tipo di merce, che viene fornita a basso costo, da centri di distribuzione che una volta erano all’estero, ma sono stati ormai sostituiti da fornitori italiani: proprio come avvenuto per le classiche merci dei venditori di strada. «Il fatto che i negozi stiano diventando tutti uguali, è un abbraccio mortale, per il commercio locale – sospira un negoziante storico – e anche per il valore degli immobili, che in certi quartieri tende al ribasso: non conta certo la nazionalità di chi commercia, ma l’appiattimento dell’offerta». La città, sotto il profilo del commercio, si trova spaccata in due: da una parte i centri commerciali, che la fanno da padrone, dall’altra un meccanismo di lenta inesorabile estinzione dei commercianti storici, quelli che in passato hanno costruito pagine importanti del tessuto cittadino.
Analizzando dunque i dati provenienti da numerosi enti Camerali si evince che è in atto una vera e propria “sostituzione” della classe imprenditoriale e che ciò non avviene solo nel settore del commercio al minuto. La distruzione del ceto medio provocata, se non voluta, da politiche fiscali poco accorte e per nulla lungimiranti sta uccidendo gradatamente ma inesorabilmente le piccole imprese, specie quelle a carattere familiare, che rappresentavano la spina dorsale dell’economia nazionale.
Se il dato generale delle imprese cala, non così quello delle imprese straniere, intendendo quelle la cui percentuale di partecipazione di non nati in Italia supera il 50%: sono ogni anno in numero maggiore praticamente ovunque sul territorio nazionale. I settori di forza di queste nuove realtà imprenditoriali sono le costruzioni ed il commercio ma l’espansione avanza verso i comparti della ristorazione e dell’accoglienza ricettiva. Le nazionalità più rappresentate sono Albania, Cina, India Marocco, Romania. Tuttavia sono in forte crescita le attività impiantate da cittadini del Bangladesh e del Pakistan.
Plaudiamo, compiti e ossequiosi, i successi degli ultimi governi nazionali.
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